Chi sono

Ciao!

Mi chiamo Matteo Cattini e vengo da un paesino in provincia di Mantova. A novembre 2018 mi sono trasferito a Roma dove ho vissuto per qualche anno al Centro di Preparazione Olimpica ‘Giulio Onesti’. Nella capitale lavoro e mi alleno per la FIPE, Federazione Italiana Pesistica. Oltre ad essere impiegato, atleta e collaboratore tecnico, sono anche il Capitano della Nazionale Azzurra di Pesistica Paralimpica e a luglio 2019 sono stato nominato Ambasciatore per il Comitato Italiano Paralimpico. E come ci sono arrivato? Mettetevi comodi. Sarò breve, promesso!

A differenza di quasi tutti ho ben due compleanni sulle spalle, perché a quanto pare la vita ha voluto farmi nascere due volte: la prima, quella scritta sui documenti, risale al 17 luglio dell’84 e l’altra al 2 giugno 2008.

Ho sempre vissuto con la mia famiglia nelle campagne della bassa mantovana. Ero un tipo sportivo, praticavo diverse discipline e il mio hobby preferito, soprattutto nel weekend, era quello di fare il PR in una discoteca della zona, a volte dilettandomi anche come DJ in consolle. Ma soprattutto c’era lei, la mia meravigliosa Yamaha R6 bianca e rossa.

È proprio in sella a lei che il 2 giugno 2008 sono nato per la seconda volta. In realtà, ogni volta che stavamo insieme mi sentivo più vivo che mai. Però quel giorno di vivo ci stava per rimanere ben poco. Ricordo perfettamente quel momento: iniziai a cercare aiuto dal fossato dov’ero finito finché non giunsero due ragazzi. Non sentivo dolore, ma allo stesso tempo non riuscivo a muovermi. Con il loro aiuto, sono arrivati i soccorsi e nel mentre ho chiesto di poter avvisare a casa. Quello fu il primo viaggio in ospedale, accompagnato da tanti altri trip mentali anche divertenti: grazie agli effetti delle medicine sono infatti diventato un ricco imprenditore californiano, mi sono sposato in un mondo fantastico, ho partecipato ad un’incursione nel sottosuolo con una guerra civile in corso per cercare una cura che mi salvasse la gamba, sono stato curato da infermieri-guerrieri che si arrampicavano sulle pareti…

In realtà non mi sono mai mosso da quel letto del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Mantova, che iniziai a riconoscere dopo una ventina di giorni. Non persi subito la gamba: i medici fecero di tutto per salvarmele entrambe, ma purtroppo a causa di una setticemia dovettero amputare la sinistra.

Rimasi a letto altri 2 mesi e mezzo per problematiche sempre dovute all’incidente, non si vedeva mai la luce in fondo al tunnel. Mi continuavano a dire che non ero completamente fuori pericolo. Fui ricoverato in ospedale poco più di 8 mesi, passando da un reparto all’altro in 3 ospedali diversi, più un lunghissimo periodo di riabilitazione. Dovevo iniziare a prendere coscienza di un corpo nuovo che mi avrebbe accompagnato per il resto della mia vita.

 

Nel 2009 tornai in palestra per riprendere tono e iniziai a “sollevare pesi”, come dicono in tanti. Beh insomma, sembrava fossi abbastanza portato perché un anno dopo vinsi il mio primo titolo Nazionale e nel 2012 partecipai alla prima gara internazionale nella storia della Pesistica Paralimpica Italiana, come atleta azzurro di una squadra che nacque proprio quell’anno. E siccome sognare non costa niente, si sa a cosa puntano gli atleti: dopo varie peripezie e speranze, in realtà piuttosto flebili, a pochi giorni dalla partenza mi arrivò la convocazione ufficiale per le Paralimpiadi di Rio 2016. Il sogno. Il massimo per ogni atleta paralimpico, traguardo che non sarei mai riuscito a raggiungere senza l’incidente.

Soprattutto nell’ultimo periodo, mi sto dedicando sempre di più anche ad un’altra delle mie grandi passioni: i viaggi. Amo incondizionatamente scoprire posti nuovi, e il mio ideale di viaggio è quello on-the-road, magari circondato dalla natura selvaggia.

In tutti questi anni non ho mai perso il sorriso nonostante tutto e ho visto sulla mia pelle come lo sport salvi la vita come una medicina potentissima. Sono pienamente consapevole che tutto questo sia possibile sia grazie al mio carattere, ma anche grazie alle persone su cui ho sempre potuto contare, un grande privilegio.

Oltre allo sport, da qualche anno ho ripreso a viaggiare con più costanza anche per piacere, non soltanto per le gare. Credo che viaggiare sia lo step successivo alla riabilitazione e ritorno alla vita, in cui ci si mette sempre alla prova con situazioni nuove, imprevisti e tutto al di fuori della confort zone.
Vorrei che la mia storia desse coraggio a tante altre persone che subiscono incidenti o vivono situazioni così brutali da cambiare completamente il corso della loro vita.

A tutti loro voglio dire che è possibile ripartire, coronare i vecchi sogni e/o inseguirne altri nuovi, che sembrano addirittura più irraggiungibili dei primi, esattamente come è successo a me.

Perdere una gamba non significa nulla finché il cuore continua a battere, e lo spirito a sognare

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